Catechesi per adulti – Scheda 5

LA CREAZIONE DELLA DONNA (Gen 2,18-25)

1. INTRODUZIONE GENERALE

Questo racconto ci è sempre sembrato un po’ strano e forse ci ha fatto anche sorridere: la donna che viene creata dalla costola dell’uomo! In realtà, si tratta di una breve narrazione davvero densa di significato, il cui scopo è ancora una volta rispondere a una domanda sul senso della nostra vita. Perché l’essere umano esiste come maschio e femmina? Qual è il senso della coppia umana? A questa domanda, in realtà, aveva già dato una risposta il primo racconto della creazione (si rilegga al riguardo Gen 1,27-28); in questo secondo racconto, pur partendo da una prospettiva più decisamente maschile, tale risposta viene ampliata e completata.

 

Il racconto della creazione della donna costituisce in realtà una novità assoluta nel panorama dell’Oriente antico; come si è visto, la Genesi non ha problemi nel prendere a prestito immagini e tematiche proprie dei miti di creazione dei popoli vicini. In questo caso, invece, ciò non avviene. Non esiste, infatti, nei miti del vicino Oriente antico un racconto simile a questo, che narri la creazione della donna. Ciò è segno dell’importanza che l’autore della narrazione biblica attribuisce alla donna, nonostante le apparenze.
Il testo è diviso chiaramente in quattro parti: in Gen 2,18 troviamo la descrizione del progetto di Dio sull’uomo: “Non è bene che l’uomo sia solo”. In Gen 2,19-20 il primo tentativo: proviamo con gli animali! Ma tale tentativo fallisce. In Gen 2,21-22 viene descritta la creazione della donna e in Gen 2,23-25 l’effetto che essa ha sull’uomo.

2. NON E BENE CHE L’UOMO SIA SOLO (Gen 2,18)

Nella frase che il narratore pone in bocca a Dio stesso, Non è bene che l’uomo sia solo”, è evidente come sia soltanto Dio che può decidere ciò che è bene e ciò che è male per l’uomo. Male è ciò che impedisce la vita; bene, invece, è ciò che rende la vita dell’uomo completa e gioiosa. Perché questo avvenga, la solitudine è un ostacolo che deve essere superato. L’uomo è stato creato per vivere insieme ad altri uomini, per dialogare con qualcuno diverso da sé, e, come vedremo, il primo di questi “altro” è l’altro sesso. Si legga al riguardo il bel testo di Qo 4,9-11, centrato sull’importanza dell’amicizia e della coppia.
La donna è qui chiamata “un aiuto che gli sia simile”; alla lettera, seguendo più da vicino il testo ebraico, “un aiuto che stia di fronte a lui. Il termine “aiuto” indica qualcosa senza il quale non si può vivere; l’uomo e la donna hanno l’uno bisogno dell’altro. Inoltre tale “aiuto” sta “di fronte” all’uomo. In questo modo si vuol far capire che la donna non è uguale all’uomo, ma che allo stesso tempo è posta sul suo stesso piano, né superiore né inferiore a lui. L’uomo e la donna sono allora due “tu” collocati da Dio allo stesso livello e destinati alla vita in comune.

3. PROVIAMO CON GLI ANIMALI! (Gen 2,19-20)

La scenetta relativa a Dio che porta davanti all’uomo tutti gli animali ha un significato preciso. Intanto, si vuol far comprendere a chi ascolta che l’uomo è realmente collaboratore di Dio nel creato. Egli è in grado di “dare il nome” agli animali, ovvero di comprendere, ordinare e dominare sulla realtà, purché questa possibilità non si trasformi in sfruttamento e dominio. “Dare il nome” agli esseri viventi è il primo atto della scienza!
Eppure gli animali non bastano per completare la solitudine dell’uomo; allo stesso tempo si vuol suggerire come la donna sia molto diversa dagli animali, una verità che all’epoca non doveva ancora essere molto chiara, se lo stesso decalogo, proprio nell’ultimo comandamento, elenca la donna tra le proprietà del marito, insieme agli animali (si legga Es 20,17). Inoltre, l’uomo deve prendere coscienza che la donna è un dono, non un oggetto da possedere. Tutto ciò vale evidentemente anche per l’uomo; nessun essere umano può essere equiparato a un animale.

4. LA CREAZIONE DELLA DONNA (Gen 2.21-22)

  • Una prima cosa che va sottolineata è il torpore, il sonno che Dio fa piombare sull’uomo. Questa rara parola, “torpore”, la ritroveremo più avanti in un contesto non troppo diverso, in Gen 15,12, quando Dio conclude la sua alleanza con Abramo; anche in quel caso Abramo dorme. Ciò significa che nel momento in cui Dio agisce l’uomo è assolutamente passivo; nel nostro racconto, quando si sveglia, trova la donna già pronta davanti a lui. Non è stato lui a fabbricarsi la donna secondo i suoi desideri; solo Dio è capace di questi gesti straordinari. “Nella teologia dell’autore jahvista, il torpore nel quale Dio fece cadere il primo uomo sottolinea l’esclusività dell’agire di Dio nell’opera della creazione della donna: l’uomo non aveva in essa alcuna partecipazione cosciente” (Giovanni Paolo II, Catechesi del 7 novembre 1979).
  • Dio “costruisce” la donna utilizzando una delle costole dell’uomo. Questa curiosa immagine richiede un’attenta interpretazione, per non rischiare di definire la donna come un derivato dell’uomo, una sorta di sottoprodotto della creazione, come talora si è pensato. Non a caso molti rabbini, non certo teneri con le donne, interpreteranno la creazione dalla costola come il segno che la donna deve essere modesta e sottomessa, come la costola è sempre attaccata al corpo dell’uomo.
    In realtà, la creazione della donna dalla costola ha forse dietro di sé l’eco di un mito del tempo, il mito sumerico di Dilmun nel quale si narra della dea Nin-ti, la “signora della costola” (chiamata in lingua sumerica ti) ovvero la “signora della vita”, dato che il termine ti significa sia “costola” sia “vita”. La costola, dunque, è simbolo di vita ed è, aggiungiamo, vicina al cuore. In questo modo si vuol dire che la donna è la vita dell’uomo e che è vicina al suo cuore. La donna è così strettamente connessa con la vita della quale è portatrice ed è in un profondo rapporto con l’uomo.
  • Un ultimo aspetto: “la condusse all’uomo”. Non è l’uomo a incontrare la donna, né la donna a conquistare l’uomo; è invece Dio a far incontrare i due sessi. In questo modo il testo vuole sottolineare, una volta di più, come dietro al mistero della sessualità vi sia l’opera del Signore. L’essere coppia è, per usare un linguaggio per noi più chiaro, una vera vocazione all’amore.

5. LA NASCITA DELLA COPPIA (Gen 2,23-25)

  • v. 23. Di fronte alla donna appena creata il v. 23 mette in bocca all’uomo un canto di lode; la solitudine è finalmente terminata! Ascoltiamo il v. 23 in una traduzione più fedele al testo ebraico:

“Questa, questa volta, osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne! Questa sarà chiamata donna (in ebraico ‘ishah) perché dall’uomo (‘ish) è stata tratta, questa!”.

  • Di fronte al mistero della sessualità l’uomo riconosce che la coppia è quella cosa “molto buona” e “molto bella” di cui già Gen 1 ci aveva parlato. L’atteggiamento dell’uomo è dunque quello dello stupore e della meraviglia (si noti la ripetizione enfatica del pronome “questa!”). Come vedremo, in Gen 2,18-25 non c’è una sola parola di divieto o di proibizione in relazione alla coppia, ma solo lode e stupore per questa stupenda “invenzione” divina.
  • Nella frase dell’uomo c’è poi il riconoscimento della pari dignità della donna; “osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne” significa prima di tutto affermare una stretta relazione di parentela e di comunione reciproca (cf. Gen 29,14); in secondo luogo, tenendo conto che le ossa simboleggiano la forza e la carne la debolezza, il  testo ci vuole suggerire che la donna partecipa della stessa debolezza e della stessa forza dell’uomo.
  • Infine: solo di fronte all’altro sesso l’uomo scopre la sua vera identità. Per la prima volta, nel testo genesiaco l’essere umano (‘adam) viene chiamato “uomo” (‘ish) e l’altro sesso, invece, “donna” (‘ishah). Il gioco di parole è in italiano intraducibile, ma è molto chiaro in ebraico: i due termini ebraici, ‘ish e ‘ishah, sono popolarmente sentiti come se fossero lo stesso nome, al maschile e al femminile, come se in italiano dicessimo “uomo” e “uoma”, oppure “donno” e “donna”! Anche a livello di vocabolario, i due sono già una cosa sola.
  • v. 24. In questo versetto ci sono due cose importanti da notare. Secondo l’uso ebraico non è l’uomo a lasciare il padre e la madre, ma è la donna che abbandona la famiglia d’origine per entrare in quella del marito. Qui viene chiesto il contrario: non c’è coppia se prima non c’è stato un movimento di distacco da tutto ciò che sembra intoccabile, com’è, per l’uomo di quel tempo, la relazione con la famiglia d’origine. In altre parole, se ti senti ancora figlio dei tuoi genitori, non sarai un vero marito.
    Inoltre: i due saranno “una carne sola”. Il testo non intende direttamente, come potrebbe sembrare, né l’unione sessuale né il suo frutto, i figli. La “carne”, nell’ottica della Bibbia ebraica, è la persona stessa vista nella dimensione corporea e nella sua relazione con gli altri, ciò che noi chiameremmo piuttosto il “corpo”. Il fine della coppia, allora, è formare un corpo solo, una sola realtà, quella che la Chiesa chiamerà “comunione di persone” (cf. Gaudium et Spes, 48; Humanae Vitae, 12), che è poi il primo fine del matrimonio cristiano.
    Com’è noto, la Legge mosaica non esclude che l’uomo possa ripudiare sua moglie (cfr. Dt 24); già il profeta Malachia, alla fine del III sec. a.C., riflettendo su Gen 2,24 intuisce che dietro a questo testo c’è la volontà del Creatore che esclude, anzi odia il ripudio (Mal 2,14-15). Proprio a Gen 2,24 rimanderà Gesù per fondare l’indissolubilità del matrimonio (Mt 19,1-9); la lettera agli Efesini citerà anch’essa questo versetto nel contesto del celebre passo sulla sacramentalità del matrimonio (Ef 5,31-32).
  • v. 25: “Erano nudi, ma non ne provavano vergogna”. Nella nostra tradizione la nudità è legata principalmente alla dimensione sessuale; di conseguenza, questo versetto è stato spesso inteso nel senso che l’uomo e la donna, prima del peccato originale, erano casti e puri e potevano stare nudi senza problemi! In realtà, la nudità nella Bibbia ebraica è prima di tutto la caratteristica del povero, che non ha nulla da mettersi addosso (cf. Is 58,7 ), soprattutto quella del nemico sconfitto, privato della sua dignità (cf. Is 20,1-6; 47,2-3) e quindi pieno di vergogna. Essere nudi, ma non provarne vergogna significa, per la coppia, accettare l’altro nella sua povertà e non averne paura, non considerarlo un nemico da umiliare o dal quale difendersi. Il progetto di Dio sulla coppia è sì una comunione senza tensioni. Al di là del rapporto di coppia, “essere nudi senza provare vergogna” significa imparare ad accettare l’altro o l’altra per quello che è e non per quello che noi vorremmo che fosse.

PER APPROFONDIRE

Il testo del vs 23 costituisce la base biblica per comprendere quel bellissimo canto nuziale che è il Cantico I dei Cantici: “II Cantico dei Cantici si trova certamente sulla scia di quel sacramento in cui, attraverso il linguaggio del corpo, è costituito il segno visibile della partecipazione dell’uomo e della donna all’alleanza della grazia e dell’amore, offerta da Dio all’uomo. Il Cantico dei Cantici dimostra la ricchezza di questo linguaggio, la cui prima espressione è già in Genesi 2,23-25” (Giovanni Paolo II, Catechesi del Mercoledì, 23 maggio 1984). Oltre al testo del Cantico dei Cantici, che richiederebbe uno studio a parte, si può riprendere, per approfondire queste tematiche, la bella preghiera di Tobia e Sara durante la prima notte di nozze (Tb 8,5-8).

PER RIFLETTERE INSIEME

1 Gen 2,21

La donna ha la stessa natura e dignità dell’uomo ed è destinata a essere il suo “tu”. Perché in molti ambienti, anche cristiani, la donna è considerata inferiore e sottoposta? Quali esempi eminenti di donne troviamo nel Primo Testamento? In quali testi del Nuovo Testamento la donna appare in tutta la sua importanza e dignità? Come vediamo la situazione delle donne nella chiesa di oggi?

2 Gen 2,21−23

Dio conduce la donna all’uomo, e quest’ultimo esplode in una esclamazione di gioia: “Questa volta è carne dalla mia carne”. Con lei può stabilire una relazione di amore e di comunione che è immagine di quella divina ed è dono di Dio. È difficile questa idea di matrimonio oggi? La relazione di coppia è vissuta come liturgia del dono e come gratitudine reciproca e verso Dio? Se siamo sposati, viviamo così il rapporto di coppia? Di quali aiuti ha bisogno una coppia e una famiglia in difficoltà?

3 Gen 2,24

Tra l’uomo e la donna c’è un impulso talmente forte da far staccare l’uomo dalla casa paterna. Questo è il segno che la relazione è talmente profonda da oltrepassare anche il legame genitore-figlio. Dall’appartenenza di sangue con il padre e la madre si passa a quella di alleanza tra marito e moglie nella reciproca libertà. Quali sono i motivi per cui i giovani oggi tardano a lasciare l’ambiente familiare da cui provengono? Sono solo di ordine economico? Nella società italiana c’è talvolta un legame troppo stretto con la famiglia d’origine. In che misura questo nuoce all’armonia della coppia?

4 Gen 2,21−25

“Non è bene che l’uomo sia solo”. L’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altro, ma la loro differenza, benché imprescindibile, da origine anche a tensioni e a conflitti. In quali ambiti e in quali occasioni abbiamo constatato la difficoltà e la fragilità dei rapporti con l’altro sesso? i Quali sono i conflitti più comuni nei rapporti fra i due sessi? Come viene vissuto il rapporto uomo-donna nel mondo del lavoro? 

5 Gen 2,21−23

L’uomo non trova negli animali “un aiuto di fronte a lui”. Nonostante la presenza degli animali e nonostante la presenza di Dio, l’uomo è solo e ciò non è “cosa buona”. Dio fa allora cadere l’uomo in un sonno profondo; “Forse l’analogia del sonno indica qui non tanto un passare dalla coscienza alla subcoscienza, quanto uno specifico ritorno al non-essere, ossia al momento antecedente la creazione, affinché da esso, per iniziativa creatrice di Dio, l’uomo solitario possa riemergere nella sua duplice unità di maschio e di femmina. In questo modo il cerchio della solitudine dell’uomo-persona si rompe, perché il primo uomo si risveglia dal suo sonno come maschio e femmina” (Giovanni Paolo II). Proviamo sentimenti di gratitudine nelle relazioni interpersonali, di coppia e no?

6 Gen 2,21−2

Uscito dalla solitudine e dalla indifferenziazione, l’uomo posto di fronte alla donna scopre la propria identità di maschio e l’alterità della donna e gioisce per il dono ricevuto. Come percepiamo che le persone dell’altro sesso che frequentiamo e con cui lavoriamo ci arricchiscono?  Quali sono le aspettative e i pregiudizi che abbiamo nei confronti delle persone dell’altro sesso? Il racconto del cap. 2, dove l’uomo è al centro del creato e anche la donna sembra venga creata in funzione dell’uomo, viene da una mente più “maschilista” del racconto del cap. 1?

7 Gen 2,21 Questo versetto della Scrittura è stato ampiamente usato per giustificare teologicamente la sottomissione della donna all’uomo (creata per seconda, tratta dall’uomo). Con quale spirito ci avviciniamo a questo testo? Come liberarci dalle conseguenze di un’esegesi scorretta e pregiudiziale? Abbiamo vissuto esperienze negative o le abbiamo causate (con battute, scherzi, pregiudizi) in riferimento a questo racconto? Anche in ambito ecclesiale? Come rispondere oggi a chi ripropone una esegesi maschilista di questi versetti? 

Cfr. Anche Il Catechismo degli adulti ‘La verità vi farà liberi’:
nn. 1042-1074 sessualità, matrimonio

SALMO 127

Beato l’uomo che teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Vivrai del lavoro delle tue mani,
sarai felice e godrai d’ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Così sarà benedetto l’uomo
che teme il Signore.

Ti benedica il Signore da Sion!
Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme
per tutti i giorni della tua vita.
Possa tu vedere i figli dei tuoi figli.
Pace su Israele!